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ElisaDonki, firma indipendente.

L’ennesima contraddizione della politica estera statunitense

Il presidente degli Stati Uniti Wilson, in occasione della Pace di Versailles, immaginava un occidente democratico basato sulla collaborazione di tutti gli Stati riuniti in una realtà superiore: la Società delle Nazioni. Per Wilson non si trattava di un concetto astratto, credeva realmente che un bene superiore fosse realizzabile, sentiva che gli Stati Uniti dovessero farsi carico di questa missione e nei suoi 14 punti prevedeva l’abolizione della diplomazia segreta, l’autodeterminazione delle colonie, la libera circolazione delle merci e delle persone inclusa la libertà di navigazione.

Wilson si è distinto per essere un politico dai forti ideali, morì qualche anno dopo la Conferenza della pace di Versailles dimostrando di essere stato un presidente visionario capace di immaginare un futuro di cooperazione internazionale, tuttavia, fu il suo stesso Stato il primo a non credere in lui negandogli il sostegno. Mentre Wilson pontificava in Europa di quanto fosse doverosa una Società super partis che preferisse risolvere i conflitti tra le nazioni attraverso la diplomazia e non con le guerre, in patria il partito repubblicano, prima con Harding e poi con Coolidge, aveva già deciso di entrare in conflitto contro l’Europa, un conflitto fatto di leggi ostruzioniste e di dazi doganali.

Ad occhio e croce tutti i 14 punti di Wilson la sua stessa politica interna aveva già deciso che non dovevano avere seguito, un esempio per tutti, Wilson auspica un libero commercio di persone e merci senza dazi, al suo ritorno in patria il partito repubblicano era già pronto ad una lunga politica di protezionismo. Il 1922, con l’approvazione della Fordney-McCumber Tariff Act, inizia il protezionismo statunitense , segnando un cambiamento significativo nelle politiche economiche degli Stati Uniti e nel loro coinvolgimento nella politica internazionale.

Wilson, un paio di anni prima dell’inizio del ventennio del protezionismo, aveva indossato la tutina del superore salvatore dell’occidente ed era andato in Europa per sedersi alla Conferenza della Pace di Versailles, predicare l’importanza di una politica equa e diplomatica e a profetizzare la necessità di una Società della Nazioni di cui gli Stati Uniti prima e più di tutti non vogliono fare parte. Essi dichiarano di non voler aderire per non essere vincolati ad intervenire in conflitti che non gli interessavano. Per la serie, siamo salvifici e idealisti solo laddove ci sono giacimenti di petrolio o materie prime altrimenti, ognuno per sé e Dio per tutti, chiunque egli sia. In questo ventennio gli Stati Uniti sono emersi sulla scena internazionale solo per un diretto tornaconto, era necessario mettere la Germania in condizioni di poter pagare le riparazioni di guerra stabilite alla pace di Versailles.

Cosa ne guadagnano gli Stati Uniti dall’intervento a sostegno dell’economia tedesca?

  1. Se l’economia tedesca non si fosse ripresa, essendo sempre stata la locomotiva dell’Europa, ci sarebbe stato il rischio che i crediti erogati ai paesi europei coinvolti nella prima guerra mondiale non venissero restituiti.
  2. Era fondamentale mettere un continente intero filo americano che fungesse da cortina contro il comuniamo.

Anche in questa occasione, come faranno spesso durante tutto il Novecento e continueranno a fare nel XXI secolo, gli Stati Uniti vestono gli abiti del supereroe che esporta la democrazia per salvare il mondo dai mali occulti, mali che però si devo rigorosamente trovare in campi fertili, di petrolio o di qualsiasi materia prima sia utile al proprio sviluppo economico, altrimenti questi posso serenamente dilagare senza l’intervento di SuperDemocrazia.

Per quanto tanto, troppo, si possa attribuire al presidente Trump, qualcosa che di certo non gli può essere riconosciuto è l’animo nobile di Wilson. Trump si pone nei confronti dell’Europa e di tutti i paesi potenzialmente utili alla sua economia come l’integerrimo difensore dei valori della democrazia. E’ di per sé già un ossimoro che egli possa parlare di valori ma è una contraddizione evidente come, nell’esercitare lo scudo del supereroe della democrazia, sottoscriva una politica interna ai limiti del protezionismo e dichiari apertamente che gli Stati Uniti devono uscire dall’Onu.

Ieri Wilson promuoveva la Società delle Nazioni ma gli Stati Uniti furono i primi a non aderire, oggi Trump si erge al difensore indiscusso dell’Occidente ma vuole ritirarsi dall’Onu.

É evidente che con la politica interna trumpiana America First viene meno la leadership convenzionale che vede gli Stati Uniti i difensori della democrazia, i custodi dei sacri valori dell’occidente. Si allontanano dalle tradizionali politiche di globalizzazione che hanno fortemente contribuito a creare, mettendo al centro gli interessi economici, lavorativi e di sicurezza esclusivamente gli Stati Uniti, creando tensioni con alleati e partner commerciali.


Nel campo della politica internazionale gli Stati Uniti sono quel bambino che quando si è stancato di giocare porta via la palla per non far giocare più nessuno e non è neanche detto che la palla sia la sua.

Puoi leggere la traduzione del discorso di Wilson noto come la Dichiarazione di guerra degli Stati Uniti il documento è tratto dall’archivio di Rai Cultura

statutintense
è importante usare questo aggettivo e non “americano” quando si fa riferimento agli Stati Uniti, non perché americano sia scorretto ma perché é politicamente scorretto. Gli Stati Uniti non sono l’America, non sono le Americhe e non sono neanche l’America del Nord, al massimo sono solo una parte di tutto questo. Dare per scontato, come erroneamente si fa anche nella storiografia, che americano sia l’aggettivo giusto per Stati Uniti alimenta ancora di più l’ego tipico di questo Stato e identifica, nell’ immaginario collettivo, due continenti con tutti i relativi Stati con un unico stato: gli Stati Uniti.

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